Gutenberg Johann
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Autore: Carlo Gagliardi
Artigiano orafo tedesco (Magonza, ca.1400-1468), figlio di Friele zum Gensfleisch, è noto con il cognome della madre Gutenberg, assunto come proprio secondo un’usanza dell’epoca. Per tradizione a lui si attribuisce l’invenzione dei caratteri mobili di metallo, ottenuti da fusione e composti in linee, per il procedimento di stampa che ha rivoluzionato la produzione del libro. Una parte della critica è propensa invece a negargli, oltre alla stampa del primo libro, la stessa priorità dell’invenzione, riconoscendogli semmai l’applicazione pratica di risultati confluiti da diverse ricerche (tra cui quelle suggerite dalla tecnica dell’intarsio, l’opus interrasile) e il perfezionamento di un uso dei caratteri tipografici che è rimasto pressoché immutato per cinque secoli. In ogni caso il sistema G. di fusione è sostanzialmente diverso da quelli con matrici di legno o anche di metallo già noti in Estremo Oriente e in Europa (dopo l’impressione da xilografia, particolarmente adatta agli ideogrammi, sembra che i cinesi avessero sperimentato fin dal secolo XI un tipo di stampa da caratteri mobili, in un primo tempo di creta).
Nel nostro continente, prima di G. la stampa era conosciuta soprattutto come riproduzione di immagini, disegni, carte da gioco; i modelli venivano incisi su legno, pietra o metallo e trasferiti su stoffa o pergamena, qualche volta con aggiunta di una breve didascalia. I libri, come noto, erano copiati a mano dai monaci e da altri specialisti. Soltanto da poco tempo, in Germania e in Olanda, erano stati impressi dei testi a mezzo tavole xilografiche.
Nell’invenzione di G. confluiscono diversi elementi utili a realizzare più copie, identiche, di un testo comparabile per qualità all’opera del più accurato amanuense. La novità sta in una "forma regolabile con stampi in cui vengono fusi nel metallo, uno alla volta, i tipi (caratteri mobili)" che poi a mano saranno combinati in parole, allineati in righe e incolonnati nel letto della composizione. Altrettanto funzionali sono l’"adattamento di un torchio da vino con filettatura" per la pressa tipografica, nonché l’impiego di una "lega di piombo, stagno e antimonio" per la fusione dei caratteri e di un "inchiostro a base d’olio" (come quello usato da certi artisti) per l’impressione e la tiratura.
La biografia di G., abbastanza lacunosa, è stata ricostruita prevalentemente attraverso documenti legali e testimonianze di conoscenti. La stessa identificazione dei lavori è resa difficile dalla mancanza di firma, dovuta forse alla partnership con i collaboratori. Nella bottega paterna apprende a incidere figure su monete d’oro e a fabbricare specchi acquisendo quella precisione che si riscontrerà nella sua opera. Alla morte del padre si sposta a Strasburgo (ca. 1430), dove entra in società con l’artigiano A. Dritzehn e altri due che, dietro investimento di denaro, inizia ad alcuni ‘segreti’ certamente tipografici. Nelle carte processuali di una causa intentatagli, dopo la morte del Dritzehn, per non aver onorato il debito (1439) troviamo riferimenti a un’arte misteriosa: vi figurano acquisti di piombo e altri metalli, l’uso di un ‘torchio’ e del termine Formen per i ‘caratteri’, la descrizione della fusione e il pagamento di ‘quanto attiene alla stampa’. Dieci anni dopo, tornato a Magonza, G. si associa con il ricco avvocato J. Fust, al quale si unirà il genero P. Schöffer, ottenendone prestiti che gli consentono di aprire una stamperia.
La maggioranza degli studiosi gli attribuisce i più antichi prodotti dell’arte tipografica a noi pervenuti: un frammento del poema tedesco sul Giudizio Universale Sibyllenbuch, un Appello contro i turchi, il Calendario astronomico del 1448, alcune Lettere d’indulgenza (1454-1455), una ventina di frammenti da edizioni diverse della grammatica latina Donatus e la Bibbia latina a 36 linee, cominciata da G. e terminata verso il 1460 da Pfister (Bibbia di Bamberga). Ma l’opera più completa e ponderosa, che rimane nella storia come il primo capolavoro dell’arte tipografica, è la Bibbia latina a due colonne di 42 linee, detta Bibbia Mazarina (ca. 1455). Stampata da G. in più copie, alcune su carta altre in pergamena, consiste di tre volumi che sviluppano 1282 pagine a due colonne di 42 righe e 1500 lettere ciascuna: complessivamente 2564 colonne, 107.688 righe, oltre 3.800.000 mila lettere. Si conoscono almeno 44 esemplari intatti della Mazarina, di cui tre conservati in Italia.
Dovrebbero potersi attribuire in qualche modo a G. anche un magnifico Salterio latino, primo libro a riportare data (14 agosto 1457) e nomi degli stampatori (Fust e Schöffer), il Catholicon (1460) e un Trattato sulla celebrazione della Messa (che sembra sottoscritto Johannis a bono monte, cioè Guten-berg). Sempre in cerca di capitali e nuovi soci, puntualmente in contenzioso con lui quali creditori, G. finisce in bancarotta. Alla sua morte (1468) i caratteri tipografici sono acquistati da K. Humery per poi passare ai fratelli Bechtermuncze di Elteville (vicino Magonza), mentre l’impresa è rilevata da Fust e Schöffer che svilupparono l’arte della stampa.
La nuova tecnologia ebbe una diffusione rapidissima in Europa: nel 1500 si contavano stamperie in 242 città.
Nel nostro continente, prima di G. la stampa era conosciuta soprattutto come riproduzione di immagini, disegni, carte da gioco; i modelli venivano incisi su legno, pietra o metallo e trasferiti su stoffa o pergamena, qualche volta con aggiunta di una breve didascalia. I libri, come noto, erano copiati a mano dai monaci e da altri specialisti. Soltanto da poco tempo, in Germania e in Olanda, erano stati impressi dei testi a mezzo tavole xilografiche.
Nell’invenzione di G. confluiscono diversi elementi utili a realizzare più copie, identiche, di un testo comparabile per qualità all’opera del più accurato amanuense. La novità sta in una "forma regolabile con stampi in cui vengono fusi nel metallo, uno alla volta, i tipi (caratteri mobili)" che poi a mano saranno combinati in parole, allineati in righe e incolonnati nel letto della composizione. Altrettanto funzionali sono l’"adattamento di un torchio da vino con filettatura" per la pressa tipografica, nonché l’impiego di una "lega di piombo, stagno e antimonio" per la fusione dei caratteri e di un "inchiostro a base d’olio" (come quello usato da certi artisti) per l’impressione e la tiratura.
La biografia di G., abbastanza lacunosa, è stata ricostruita prevalentemente attraverso documenti legali e testimonianze di conoscenti. La stessa identificazione dei lavori è resa difficile dalla mancanza di firma, dovuta forse alla partnership con i collaboratori. Nella bottega paterna apprende a incidere figure su monete d’oro e a fabbricare specchi acquisendo quella precisione che si riscontrerà nella sua opera. Alla morte del padre si sposta a Strasburgo (ca. 1430), dove entra in società con l’artigiano A. Dritzehn e altri due che, dietro investimento di denaro, inizia ad alcuni ‘segreti’ certamente tipografici. Nelle carte processuali di una causa intentatagli, dopo la morte del Dritzehn, per non aver onorato il debito (1439) troviamo riferimenti a un’arte misteriosa: vi figurano acquisti di piombo e altri metalli, l’uso di un ‘torchio’ e del termine Formen per i ‘caratteri’, la descrizione della fusione e il pagamento di ‘quanto attiene alla stampa’. Dieci anni dopo, tornato a Magonza, G. si associa con il ricco avvocato J. Fust, al quale si unirà il genero P. Schöffer, ottenendone prestiti che gli consentono di aprire una stamperia.
La maggioranza degli studiosi gli attribuisce i più antichi prodotti dell’arte tipografica a noi pervenuti: un frammento del poema tedesco sul Giudizio Universale Sibyllenbuch, un Appello contro i turchi, il Calendario astronomico del 1448, alcune Lettere d’indulgenza (1454-1455), una ventina di frammenti da edizioni diverse della grammatica latina Donatus e la Bibbia latina a 36 linee, cominciata da G. e terminata verso il 1460 da Pfister (Bibbia di Bamberga). Ma l’opera più completa e ponderosa, che rimane nella storia come il primo capolavoro dell’arte tipografica, è la Bibbia latina a due colonne di 42 linee, detta Bibbia Mazarina (ca. 1455). Stampata da G. in più copie, alcune su carta altre in pergamena, consiste di tre volumi che sviluppano 1282 pagine a due colonne di 42 righe e 1500 lettere ciascuna: complessivamente 2564 colonne, 107.688 righe, oltre 3.800.000 mila lettere. Si conoscono almeno 44 esemplari intatti della Mazarina, di cui tre conservati in Italia.
Dovrebbero potersi attribuire in qualche modo a G. anche un magnifico Salterio latino, primo libro a riportare data (14 agosto 1457) e nomi degli stampatori (Fust e Schöffer), il Catholicon (1460) e un Trattato sulla celebrazione della Messa (che sembra sottoscritto Johannis a bono monte, cioè Guten-berg). Sempre in cerca di capitali e nuovi soci, puntualmente in contenzioso con lui quali creditori, G. finisce in bancarotta. Alla sua morte (1468) i caratteri tipografici sono acquistati da K. Humery per poi passare ai fratelli Bechtermuncze di Elteville (vicino Magonza), mentre l’impresa è rilevata da Fust e Schöffer che svilupparono l’arte della stampa.
La nuova tecnologia ebbe una diffusione rapidissima in Europa: nel 1500 si contavano stamperie in 242 città.
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Bibliografia
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- EISENSTEIN Elizabeth L., La rivoluzione inavvertita: la stampa come fattore di mutamento, Il Mulino, Bologna 1985.
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- TWYMAN Michael, L'imprimerie. Histoire et techniques, ENS Éditons, Lyon 2007.
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Come citare questa voce
Gagliardi Carlo , Gutenberg Johann, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (22/12/2024).
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